mercoledì 1 dicembre 2010

I ragnetti rossi

Io non ho fratelli.
Sono figlia unica, un po' viziata, molto capricciosa e abbastanza solitaria...
Però non penso di essere stata una bambina sola.

La scuola, i compagni, i giochi nel prato davanti alla scuola. "Facciamo a chi scala più in fretta quel greppo?" E su a correre coi maschi mentre le bambine stanno giù per non sporcarsi il grembiule.

Torno da scuola, mangio, corro giù e suono al campanello davanti alla grande porta di legno scuro con la vetrata. Vedo una testa ricciuta che si avvicina di corsa e mi apre. "Eccomi. Hai finito di mangiare"? "No, vieni che c'è il torcolo, l'ha fatto la mamma ieri". "Dopo andiamo a fabbricare le letterine colorate e le portiamo alla Cremonte? Ci dà i cioccolatini col ripieno di liquore dentro"!

La camera del nonno. Una stanza dai grandi mobili scuri, un lettone alto alto e un cassettone pesante. Stanza vietata alle bambine.
Il nonno è uscito, ci sono 10.000 lire sul cassettone. "Le prendiamo?" "Sì dai, tanto non se ne accorge! Così ci compriamo i ghiaccioli panna e fragola al bar fuori dal passaggio segreto." Una settimana di ghiaccioli a sbafo del nonno.

Prepotente come solo le figlie uniche sanno essere. La mamma in cucina la vede passare in direzione della porta: "Arrivederla, Signora, io vado a casa mia". "Perché Vali?" "Marina mi fa fare la scimmia".

Inverno. Lunghi pomeriggi piovosi. Scendo di corsa, suono. Una testa alta mi apre. Non è lei, delusione: "Valentina non c'è". Torno su, in camera mia, con amici e amiche immaginari con cui parlare. E mia madre, dalla sua scrivania nell'altra stanza: "Marì, con chi parli"? E io: "Mamma, con l'aria"...

E poi le prime giornate di primavera, nel giardino incantato sotto casa, il giardino del nonno, pieno di segreti, di stupori.
"Che strane queste foglioline..." "Sì strane, verdi verdi e tenere. Sono germogli. Chissà come sono?" Le assaggiamo. Decidiamo che ci piacciono.
E mangiare i fichi dall'albero nell'orto, appollaiate sui rami, con le mani tutte appiccicose, mentre cantiamo "Viva la pedagogia" sotto alle finestre di quell'amico del babbo. Chissà perché poi?

"Guarda questi ragnetti rossi sul muro." "Non sono ragnetti, sono gli schifi rossi!" E giù a schiacciarli per vedere la striscia che lasciano.
E mentre ci puliamo le dita sui calzoni, uno sguardo: "Ma noi siamo amiche vero?"
"No, noi siamo sorelle"

domenica 17 ottobre 2010

Prova d'orchestra

Giorni di pigrizia, di accidia, di distrazione.
Mi sveglio. Colazione, doccia, un'occhiata al computer. Poi c'è da fare in casa, poi incombenze burocratiche, poi c'è il pranzo, poi un salto a far spesa, poi una telefonata ad un'amica, poi un giro in centro, poi, poi, poi...


Ogni scusa è buona per non studiare. Dico, MI dico, "Marina c'è quel pianoforte che ti aspetta, quello spartito nuovo neanche aperto". E però c'è sempre un'altra cosa da fare, più importante, più urgente.
La musica mi respinge ed io respingo lei e non trovo neanche una ragione.
Forse perché è diventata solo un lavoro come un altro e non più una passione?
Fatte le prove, fatte le recite, si torna a casa e tutto finisce lì, fino al prossimo lavoro e allora via di corsa a ripassare a imparare se è una cosa nuova.
Continuo a ripetermi: "così non va bene, che c'è che non va? Questo è il tuo lavoro. Lo devi fare". Eppure...



Un pomeriggio di una qualunque pigra domenica di ottobre.
Un invito dell'ultimo minuto: "vado a fare una prova, vuoi venire con me a sentire?"
Vado.
Fuori c'è il sole, sarebbe l'occasione per una bella passeggiata in campagna o in un giardino.
Mi domando perché non scappare all'aperto a godermi il sole. D'altro canto non sono io a dover fare le prove.
Ma c'è qualcosa che trattiene, che mi attira dentro quelle mura, tra quei corridoi polverosi, quei leggii traballanti, le luci al neon, le panche di legno.
Solo una decina di musicisti stanno accordando, il Maestro in Tshirt da domenica pomeriggio, la clavicembalista su un organo elettrico con la prolunga portata da casa, ché il filo era troppo corto.
Potrebbero essere con le famiglie, a passeggio, a vedere un film, a fare una gita, a riposarsi. D'altronde è domenica.
Invece sono qui.



Poi iniziano a suonare e Gemma inizia a cantare.
Un'ondata di emozione mi sale da dentro, gli occhi mi si riempiono di lacrime, mi abbandono alla musica.
Si fermano, discutono di pause, della lunghezza di quella nota - "dove facciamo cadere l'accordo nel recitativo?"
Sono tutti immersi, concentrati, rapiti dal loro lavoro. Lavoro? No dalla loro passione.



Ho voglia di andare a casa, ho voglia di studiare anch'io, ho voglia di decidere quanto far durare quella pausa, ho voglia di cantare, ho voglia di condividere con gli altri questa emozione che si rinnova ogni volta e che mi porta a piangere ad un accordo che smuove le corde della mia anima.



Ho di nuovo, e sempre, voglia di MUSICA.



mercoledì 6 ottobre 2010

Palermo



Sono giorni, anzi settimane che voglio scrivere di Palermo.
Ma la mia mano non riesce a scrivere tutto quello che c’è nella mia mente, o forse la mia mente non riesce a comprenderla tutta in poche parole.
Da dove cominciare?

Non riesco a togliermi dalla mente l’immagine di una nobildonna di altri tempi, agghindata, ingioiellata, incipriata, che nasconde sotto i suoi vecchi abiti sontuosi, sotto i gioielli preziosi che la abbelliscono, sotto la cipria che la imbianca, il disfacimento del corpo, le rughe del volto, le crepe dell’anima, il peso dei compromessi, il dolore delle violenze, la sporcizia delle miserie.
Come quei poveri corpi mummificati che se ne stanno appesi ai muri della cripta dei Cappuccini. Loro, i morti, nei loro migliori vestiti, quelli della festa, non immaginavano forse di essersi così agghindati per essere esposti e guardati con curiosità morbosa da turisti sciatti, in bermuda e ciabatte.

Palermo è colori e luce e ombre e buio, è profumi e puzze, è letteratura e poesia e ignoranza e disprezzo, è musica e rumore di macchine, è fiori e palme e giardini e cemento e asfalto, è spettacolo e immondizia, è palazzi meravigliosi e rovine di bombardamenti di 60 anni fa, è voglia di rinascita e disillusione, è città di mare che volge le spalle al mare, si rivolge alla montagna e ne è respinta in basso.

Palermo per me è kaos.
E’ il movimento immutabile della storia. E' la vita e il suo tendere in ogni momento alla calma, cioè alla morte, ma, come la storia, senza mai arrivarci.



Vorrei scrivere quello che canta Giovanni da Procida nei Vespri siciliani:



"O tu, Palermo, terra adorata,
a me sì caro riso d’amor,
alza la fronte tanto oltraggiata,
il tuo ripiglia primier splendor!
Chiesi aita a straniere nazioni,
ramingai per castella e città.
Ma, insensibil al fervido sprone,
dicea ciascun:
Siciliani, ov’è il prisco valor?
Su, sorgete a vittoria, all’onor!
"


Ma non riesco a dimenticare le riflessioni di Don Fabrizio, Principe di Salina:


sabato 4 settembre 2010

Lampo


Ieri a Siracusa si è rotta l'estate.
Ed è anche finita la mia vacanza e le cose belle e brutte che ha portato con se.
Mi domando come sarà l'anno che mi aspetta, ma penso che questo mese di spensieratezza mi abbia dato nuove e necessarie energie.
Come quelle di questi lampi..




"E cielo e terra si mostrò qual era:
la terra ansante, livida, in sussulto.
Il cielo ingombro, tragico, disfatto:
bianca bianca nel tacito tumulto
una casa apparì sparì d'un tratto;
come un occhio, che, largo, esterrefatto,
s'aprì si chiuse, nella notte nera."


(G. Pascoli)

domenica 25 luglio 2010

MAESTRALE


Di nuovo sul blog...
E' tornata l'ispirazione? Mah...
Avevo solo voglia di condividere con voi quest'aria di maestrale che si respira oggi, dopo tanti giorni di soffocante scirocco e ho ritrovato per l'occasione una delle mie poesie preferite.
E anche io penso: "più in là"




S'è rifatta la calma
nell'aria: tra gli scogli parlotta la maretta.
Sulla costa quietata, nei broli, qualche palma
a pena svetta.

Una carezza disfiora
la linea del mare e la scompiglia
un attimo, soffio lieve che vi s'infrange e ancora
il cammino ripiglia.

Lameggia nella chiaria
la vasta distesa, s'increspa, indi si spiana beata
e specchia nel suo cuore vasto codesta povera mia
vita turbata.

O mio tronco che additi,
in questa ebrietudine tarda,
ogni rinato aspetto coi germogli fioriti
sulle tue mani, guarda:
sotto l'azzurro fitto
del cielo qualche uccello di mare se ne va;
né sosta mai: perché tutte le immagini portano scritto:
"più in là"!


(E. Montale)

domenica 25 aprile 2010

25 APRILE



Oggi sono stata a pranzo in un posto diverso.
In una piazza, al sole, seduta a tavoli arrangiati, coi bicchieri e le posate di plastica, con ragazzi e ragazze e bambini che portavano vassoi di salumi, pasta al sugo che sa di pasta al sugo della nonna, arista e fagioli bianchi. Vicino a me c'erano amici cari e persone sconosciute con coi abbiamo diviso il pane, il vino dai bottiglioni, l'acqua della fontanella.
Ad unirci era la voglia di stare insieme, di cantare, di discutere, di conoscersi, di confrontare le nostre idee, anche se poi non ci si incontrerà più.
E poi è arrivato un omino, col suo bell'accento fiorentino, che con poche parole ci ha detto questo: "le nostre gambe sono stanche, abbiamo bisogno delle vostre per difendere la nostra Costituzione che è il fondamento della vita civile e democratica di questo Paese!"
E mentre tutta la piazza cantava Bella Ciao, un nodo di commozione mi stringeva la gola...
Grazie Pillo!

giovedì 11 marzo 2010

OMNIA VINCIT AMOR


ET NOS CEDAMUS AMORI!



E dato che, in teatro, io sono di nuovo Amore:

"Quando l’amore vi chiama,
seguitelo, anche se le sue vie
sono dure e scoscese.
E quando le sue ali vi abbracciano,
arrendetevi a lui.
Quando vi parla, credete in lui,
anche se la sua voce
può cancellare i vostri sogni,
come il vento scompiglia il giardino.
Come covoni di grano, vi raccoglie in sé.
Vi batte fino a farvi spogli.
Vi setaccia per liberarvi dalla pula.
Vi macina per farvi farina bianca.
Vi impasta finché non siete docili alle mani;
e vi consegna al fuoco sacro,
perché siete pane consacrato
alla mensa del Signore.
L’amore non dà altro che se stesso e
non prende niente se non da sé.
L’amore non possiede
né vuol essere posseduto,
perché l’amore basta all’amore".

(Kahlil Gibran)



lunedì 1 febbraio 2010

Arrivederci Amsterdam!








Ciao Nederlandse Opera















Ciao neve













Ciao casine storte e colorate














Ciao biciclette














Ciao famiglie organizzate













Ciao house boats















Ciao mercato dei fiori















Ciao panini con le aringhe















Ciao bitterballen



















Ciao Concertgebouw








 










Ciao Amsterdam







 


Sono stati due bellissimi mesi, tornerò presto!






















martedì 19 gennaio 2010

Sandro Pertini

In questi giorni di commemorazioni, mentre tutti ricordano un certo socialista...
io vorrei ricordare QUESTO socialista.


venerdì 8 gennaio 2010

Le candele




"Stanno i giorni futuri innanzi a noi
come una fila di candele accese,
dorate, calde e vivide.

Restano indietro i giorni del passato,
penosa riga di candele spente:
le più vicine danno fumo ancora,
fredde, disfatte, e storte.

Non mi voglio voltare, ch’io non scorga, in un brivido,
come s’allunga presto la tenebrosa riga,
come crescono presto le mie candele spente.

Non le voglio vedere: m’accora il loro aspetto,
la memoria m’accora del loro antico lume.
E guardo avanti le candele accese.
"

(Costantinos Kavafis)


Una poesia di malinconia ma anche di speranza.
Che i tre piccoli geni di Mozart ci conducano verso un futuro di amore, di pace e di serenità...
Questo il mio augurio per il nuovo anno.






Grazie....